Risacca #3

Un’incredibile frenesia. Come un bambino scarta i doni sotto l’albero luminosissimo in quel 25 del mese, così ho aperto la borsa per estrarre il mio pc. Col cuore scalpitante…non so nemmeno perché. Qualcosa mi diceva di farlo. Ho fatto gli scalini in velocità, la mano tremante ha scelta la chiave per aprire la porta. Mi sono liberato degli orpelli e mi sono gettato sui tasti a martellarli.

E’ così la scrittura…ti pervade…sfocia dalla punta delle dita impertinente alle volte. Non vuole essere imbrigliata. Non sei tu a pensare, ma lei vibra le tue corde autonomamente. Un cembalo ubbidiente. Ti lasci percuotere curioso. Fascinato da quello che sarà il risultato.

Non sai dove il prossimo tasto ti condurrà e lasci sfogare ogni singolo grillo che voglia allietare con lo stridio delle zampette l’altrimenti pesante aria estiva. La testa s’alleggerisce e la decina diviene agile come quella di un pianista…accarezzi ogni lettera…gioisci di ogni ticchettio che accompagna la battuta. Ritmico ed ipnotico. Potrei parlare per ore del nulla, solo per sentire il plastico picchiare dei tasti. Si parlare…non sto scrivendo…la rapidità della stesura è quella della parlata. Di un cuore impetuoso, che non può tenersi dentro alcunché. A cui piace infilare qualche termine inusitato qui e lì. Sì, vero, anche un po’ per vezzo…non vi piace, non mi interessa. Stasera sono impertinente. L’impertinenza di una persona che ha deciso di prendere in mano la propria vita e sorridere in ogni momento. Di non preoccuparsi se il suo riso sguaiato può importunare il vicino seduto al bar. Se la passione smodata può farlo apparire ridicolo a molti. Se il voler essere se stesso potrebbe portarlo ad essere frainteso più volte. Non è la solita invocazione ad essere se stessi sempre e comunque senza voler ascoltare quello che gli altri dicono e bla bla bla…è solo un ammonimento a me. A ricordarmi di come ogni singolo istante è ricolmo di un’emozione che merita di essere vissuta e non repressa. Come una parola di affetto non detta potrebbe essere l’ultima frase che avremmo voluto dire a qualcuno…una carezza non data potrebbe essere l’ultimo gesto d’affetto che una persona avrebbe tanto voluto ricevere e non abbiamo avuto il coraggio di dare…quel messaggio che avremmo voluto mandare, ma abbiamo ricacciato tra i pixel anonimi per una paura vigliacca…perché nemmeno più tramite uno schermo abbiamo coraggio di parlare.

In pochi giorni due eventi hanno completamente ribaltato il mio animo. Mi hanno risospinto soffiando amabilmente sulle mie vele. Hanno innalzato il mio animo ad una prospettiva imbarazzantemente alta, dalla quale tutti possono osservarti mentre scruti con vergogna gli orizzonti. Una vergogna totalmente autoreferenziale, ma catartica allo stesso tempo. E’ incredibilmente patetica la necessità dell’uomo di dover attraversare ciclicamente emozioni contrastanti per poter osservare il Reale. Che poi, non ho alcun diritto di assurgere a giudice del generale. Parlo di me…è vero…ma non fate finta di non essere così anche voi. Forse sono ancora troppo giovane e l’irruenza mi contraddistingue…ma chiunque si è vergognato qualche volta di essersi lamentato della propria miserrima situazione.

Bah…baggianate…detto un po’ alla Scrooge.

Tali sono! Tali rimangono! Ed in quanto tali dovremmo ricordarci di percepirle. Ricordatelo Riccardo. Abbraccia sempre, libera le ossitocine…chi ti sta di fronte non lo sa, ma fa benissimo anche a lui. Non sappiamo nemmeno quanto abbiamo bisogno di affetto finché non lo riceviamo. Ed allo stesso tempo dobbiamo imparare a bastarci. Ad essere autosufficienti in un mondo in cui l’interconessione è al tempo stesso veleno ed antidoto. No, nemmeno qui aprirò il pistolotto su social network e chi si mette a smanettare con cuffiette e cellulare sulla metro, isolandosi. Il “chiunquismo” non mi è mai piaciuto. Non mi ha mai appassionato. Preferisco parlare degli angoli impolverati piuttosto che delle credenze su cui la gente passa il guanto per controllare che sia stato perfettamente spolverato. Preferisco osservare la formica che trascina il bastoncino piuttosto che perdermi nell’immensità del panorama mozzafiato di un Orrido consumato dalle visioni che tutti ne hanno avuto. Mi manca il dono della sintesi ed amo il minuscolo. Il dettaglio di un neo appena accennato sopra il labbro che si inarca appena per sorridere arrossendo. La cicatrice che decora il drappeggio dorato della pelle al sole. Il nervoso accartocciarsi i capelli nel momento di imbarazzo. Dettagli. Non posso non perdermi in queste piccole cose…sono dei mondi tutti da scoprire che colorano ogni singola giornata. Me ne compiaccio quando ne scopro uno nuovo…magari in una persona che conosco da tempo. Sono la pennellata data saltellando da un pittore. Il fuoco dell’obiettivo si chiude su questi, il resto è sfocato…diviene controno pur semrpe imprescindibile. Quanto adoro questa caccia al tesoro…

E quel che più mi meraviglia è quanto più bello e meraviglioso sia conoscere una persona od un luogo dalle piccole cose che non da uno sguardo d’insieme. E’ una conoscenza tutta personale, filtrata dalle nostre emozioni. Quel gesto ripetuto può essere maledettamente irritante per me quanto ineguagliabilmente ammaliante per un altra persona. I dettagli. Quelle note suonate in silenzio che raccontano tutto il mondo interiore. E per le quali siamo diventati ormai quasi sordi…lasciamo che le nostre membrane tornino morbide a queste onde! Impareremo a gioire di una meraviglia in più della vita.

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