M’innamoro camminando
del rossore del viso frettoloso
trasportato dalle gambe, quando
il mio cuore chiede un po’ di riposo.
Accomodo gli occhi su di un vetro
a rifletter sulla mia immagine,
che l’affetto verticale abbisogna
d’una coltura più assidua
di quello orizzontale quotidiano.
Mi trasporta in angoli spaziosi
il tuo profumo, mentre ‘l capello
cinge voluttuoso il polso, curiosi
ricci ad adornare fantasie.
M’abbandona la fatica d’amare
che mummifica i cuori sordi
e lascio che il libeccio di emozioni
mi sospinga, mentre il rollio
m’infiacchisce meravigliosamente.
Nessuna regola, sol provvisorio
accordo d’intenti troppo spiccioli
per legarci in seppur temporaneo
afflato a completar gl’animi soli.
Rimbalzo tra le meraviglie
perfette, riempiendo l’otre avido.
Mi innamoro ancora, del
caldo grigiore delle nubi.
Del precipitare del sole,
dapprima lento e misurato,
poi frettoloso a tinteggiar
la striscia lontana e con essa
i volti distratti di rimando.
Mi scopro immobile ad ammirare
la sinfonia dei contorni sfumati
della sfera timida, come un mare
accarezzato dai venti profumati.
Frequenze urtano all’unisono
gli specchi e le membrane
a completarsi, in una dimostrazione
di perfezione dalla quale
non voglio più scappare.
Non mi sottraggo
alle ripetute sferzate
portate con eleganza;
disarmato e senza difesa
lascio affondare i fendenti
contento delle cicatrici
che mi racconteranno, un giorno,