Risacca #10

Mi sorprendo di come i cicli si ripetano. Dopotutto il tedesco superuomo non aveva tutti i torti. Torna sempre tutto. Torna così la voglia…no…la necessità di martellare a morte i tasti del portatile. Perché urla molto di più questo picchiettio di una telefonata all’altro capo del mondo. Colpisce più duro il polpastrello sul tassello nero che il pugno chiuso su una qualsiasi superficie. Non smetterò mai di stupirmi del potere della parola scritta. Ancor di più fa la lama della penna sulla candida e delicata pelle vegetale. Ma riservo questo rituale magico soltanto a pochi, a coloro che riescono ancora ad annusare l’odore dell’inchiostro di una penna che ha sanguinato sul foglio. Dedico i miei squarci più profondi alle anime che possono sicure carezzare le ferite dell’anima senza schernire chi le porta, e baciare la pelle là dove è stata lentamente ricostruita ed è più sensibile. Un bacio profumato, dato ad occhi socchiusi e cuori all’unisono, anche se a migliaia di chilometri di distanza. Tremo e piango. Mi lascio struggere per niente, solo perché è meraviglioso lasciarsi travolgere da un gelido calore emotivo. Disseziono le parole sillaba per sillaba, conto le lettere che intercorrono tra una virgola ed un punto successivi. Maniaco! Pazzo!  Mi arrovello su questioni che sono inesistenti. Le analizzo sino a farne una malattia. Ed ugualmente godo sino all’ultima stilla della rugiada che ricopre il cuore all’alba dell’amore: bagna le mie labbra lasciando un alone argenteo che succhio via avidamente, ma gustandone ogni piccola sfumatura di sapore. Questa è la parte di me che amo. La parte che Ama. Che non riesce solo a voler bene. Che dispone a conca le sue mani a raccogliere il vento per poterlo catturare per un secondo e ridere di questa sua bambinesca trovata. Che lascia rigare il volto più volte nella stessa giornata da piccole perle a tratti amare a tratti zuccherine, ma sempre calde a gonfiare la pelle sensibile degli occhi. Quei vetri che si lasciano ammaliare dai minutissimi particolari di un angolo di bosco dove le castagne soglionio adagiarsi sul manto foglioso ambrato e sul quale fare l’amore; dalla piccola “v” che tratteggia un cuore sulle tue iridi fiaccate dalle vicissitudini; dalla vista di qualche puntino luminoso che durante la notte decora il soffitto della Terra disponendosi nelle forme più ignegnose solo per ricordarci di dover sempre lottare; dalla scintilla che percorre i tondi tuoi nei momenti di pura gioia ed amore. Sono io questo. Colui che si dispera quasi segretamente per perdite altrui, quando qualcuno si trova costretto ad abbandonare un fardello nel suo erto sentiero della tortuosa vita che percorre, immeritatamente. Non ha bisogno che qualcuno glielo ricordi, si accorge ben già da sé che una sua parte le è stata privata anzitempo. Ha pagato con una rata di anticipo, e salatissima per di più, il biglietto per “La Comprensione Della Vera Felicità”. Mi piacerebbe tanto visitarla questa nazione. Sento di averne toccato le spiagge qualche volta, ma ho riportato solo qualche granello con me, che a volte rimiro soddisfatto. Ed ho deciso di metterli in esposizione questi piccoli pezzetti, per rendere tutti partecipi del tesoro che ho rubato ai lidi sacri della Vita. Peccato che solo pochi riescano a vedere, prima, ed apprezzare, poi, quella miriade di riflessi cangianti che rendono questi granelli l’anticamera della “Serenità Dell’Anima” (che altro non è se non la spiaggia de “La Comprensione Della Felicità”). Maledizione a me che ancora non ho imparato a stringere troppo le mie dita attorno alla sabbia, ché anche i fanciulli sanno quanto sia lesta a scamparsene di tra le dita. Altrimenti avrei riportato ai più manciate su manciate di quella sabbia, fino a costruirci un castello meraviglioso e più attraente.

E mentre penso a questo mi sorprendo a sorridere di come l’esistenza ci prenda a bastonate assieme a chi ci vuole bene solo perché è una maestra e noi degli scolaretti un po’ troppo viziati e svogliati. Non ci ha mai voluto e mai ci vorrà dare un voto alla fine del nostro compito. Siamo noi che vogliamo mettere un numeretto affianco al nostro nome. Siamo noi che dobbiamo stilare una classifica alla fine della giornata. Dobbiamo a tutti i costi avere un termine di paragone, quand’invece potremmo godere della nostra assolutezza ed autodeterminazione in ogni istante. Siamo masochisti a livelli deplorevoli. E ci piace crogiolarci in questa nostra debolezza più e più volte: ahinoi sodomiti atei (e, peggio, talvolta credenti).

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