Risacca #16

E’ inutile una doccia senza di te.

La pioggia metallica non lava i ricordi del tuo corpo affianco al mio. Le mie mani annaspano nella ricerca dell’intrico dei tuoi capelli da accarezzare. L’acqua si fa di colpo più calda, il vapore mi ottura i polmoni, mi manca d’improvviso il naturale ritmo del respiro. E bollenti gocce scendono ad accompagnare sulle guance le sorelle in bell’ordine. L’acqua non dilava il sapore della tua pelle dalle mie labbra, non allontana l’odore del tuo collo dalle mie narici. Non esiste pioggia più infame di quella scaturita dall’uomo. Non compie il suo dovere. Non rilassa le mie membra. Tutte lo gocce sono in fila. Escono con forza ed indispettite da quei minuscoli fori, e furiose colpiscono la mia figura senza sentimento. Mi cadono addosso a sfregio, insistendo a più riprese sullo stesso punto fino a far gridare l’anima per la sofferenza. Non impareremo mai ad imitare la dolcezza delle lacrime che copiose la Natura cosparge su di noi. Ognuna di queste stille ha una sua forma, una sua velocità e traiettoria. Le confeziona una ad una la Natura, facendocele poi cadere in fronte, per poterci percorrere in tutta la nostra altezza. Un gelido tocco capace di scaldare il corpo. Appiana i pensieri. Come un pittore sciacqua il pennello in un bicchiere pieno, così siamo stinti delle nostre preoccupazioni nel farci percorrere da quelle magnanime gocce. Il sottile velo grigio che ci hanno dipinto addosso a scorno viene delicatamente scolorito, per lasciare lo spazio alle magnifiche sfumature che ci ammantano. Spesso ci dimentichiamo di quante vibranti sfumature ci siamo adornati la pelle. Alcuni addirittura sono riusciti a decorarsi l’anima. Quelli sono i soli ad avere appreso l’arte della riflessione. Sono i soli che riescono a guardarsi dentro senza vergognarsi troppo delle crepe che hanno riempito con argilla…solo povera argilla. In attesa di incontrare le mani competenti che sapranno scavare questa creta e sostituirla con del luccicante metallo. Eterno. Bellissimo. Capace di incorniciare superbamente gli affreschi che ci siamo pazientemente dipinti dentro.

Lo so cosa stai pensando, ma…no…non lo si può fare da soli. Nessuno riesce a praticare quest’arte raffinata su se stesso. Serve chi possa con precisione infilare la miretta mentre l’operato mantiene la calma, non respira troppo, distende la sua anima un po’ accartocciata e si lascia maneggiare con cura dalla decina che gli sta di fronte. L’unica anestesia che funzioni in questo momento sacro è l’alito del maestro di spatola. Quel maestro che, ad un palmo dal viso dello speranzoso vaso incrinato, riesca a soffiare tutto il suo amore a ricolmare la brocca. Allora le crepe si cominciano ad ammorbidire, lasciandosi svuotare senza opporre resistenza. Lo strumento del mastro gratta via l’argilla posticcia e fa spazio ad un più nobile elemento. È per questo, per questo che non lo si può fare da soli: perché non possediamo la capacità di colmarci d’amore da sé.

Riprendimi la bocca a pochi centimetri dalla tua. Soffiaci dentro con tutta la dolcezza che conosce solo il tuo amore. Vieni a prendere le mie labbra. Ed accostavi le tue, come sull’ancia di un oboe. Usa tutta la maestria che hai imparato nell’arte dell’amore per farmi risuonare del tuo affetto. Fammi socchiudere gli occhi dal piacere di incontrare il tuo fiato per una volta ancora. Sono la tua opera d’arte. Per me tutte le tue capacità risplendono e divengono manifeste. Mostrami al mondo e lascia che tutti godano della gentilezza e pazienza che hai speso per rendermi il tuo capolavoro.

Sembra idilliaco, nevvero?! Eppure…beh…eppure alcuni di questi maestri di spatola sono altrettanto deboli e fragili. Anzi, i più bravi maestri sono quelli che per primi hanno raffazzonato la loro anima con la più provvisoria delle argille. Quella spuria, piena di sassolini e piccoli frammenti di canne palustri. E, ironia della sorte, spesso proprio a loro tocca aspettare più a lungo il giusto maestro di spatola. Ne passeranno di apprendisti ad affinare con queste meraviglie la loro arte. Alcuni di questi saranno ragazzini capricciosi, altri semplicemente pigri, altri ancora malvagi, tanto da preferire rompere ancor più l’Anima che capitano a maneggiare. Questi si cospargono prima di miele le labbra, soffiano la più dolce melodia nella bocca del vaso che si abbandona. Ed è allora che la decina diviene scivolosa, che la presa viene di proposito allentata…e la preziosa Anima “frastuona” al suolo. Incrinandosi in più punti. Vedendo i piedi lerci dell’apprendista allontanarsi. Anche i maestri di spatola migliori ad un certo punto finiscono per non saper più quale sia il sapore del miele e quale del vero amore. E preferiscono vivere ricolmi di argilla mentre forgiano dorate anfore con le anime altrui. E tutto quello che si ritrovano a fare è soffocare. Sotto la doccia. Da soli.

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