Cadute

Lasciò cadere a metà frase la penna, che dopo una breve tragitto percorso rotolando incontrò il pertugio perfetto tra due delle liste sconnesse di pino. La bic nera atterrò senza far rumore sopra il morbido letto d’erba, ormai bruciacchiata un po’ dall’insistenza del sole. Carlo l’aveva seguita con gli occhi, scrutandola poi al suolo, con uno sguardo tra lo svolgliato e il compassionevole, un po’ provando pena, un po’ invidia. A tanto era ridotto? A provare invidia per una penna caduta al suolo? Non aveva temuto gettarsi in uno strapiombo sconosciuto, senza nemmeno prima affacciarvisi. Il coraggio fatto ad inchiostro. Con quale grazia si era appoggiata poco più sotto. L’esempio perfetto che a volte buttarsi non deve spaventare. Una breve rincorsa e giù verso nuove avventure. Che laggiù, a volte, è pure meglio.

Carlo si sorprese a sorridere. Arrossì per come i suoi pensieri avessero preso forma. Erano sempre piccole valanghe. Private. Privatissime. Ne era geloso e pure un poco se ne vergognava. Di quella vergogna che si nasconde a tutti. O quasi. La sua mente si trovò allora a ripercorrere i nomi ed i volti di quelle persone a cui aveva mostrato le cadute libere della sua irrazionalità. Lucia, Diana, Valeria. E Grazia. Sino a Gloria. Ma anche Angelo e Giulio. In modo diverso, certo, eppure anime che – chi più, chi meno – erano state travolte da slavine di pensieri non adulterati. Imperfetti e per questo magnifici.

Era cambiato Carlo però. Ormai aveva imaparato come contenere il sublime che aveva dentro. Le valanghe si erano trasformate in controllati assestamenti dell’animo. Minuti passi a valle sempre e solo quando necessari.

Ed ecco perché la bic nera di nuovo tra le dita in quel pomeriggio di inzio luglio. Un mezzo disperato tentativo di spremere un poco più a fondo il suo mondo interno, per vedere se in fondo in fondo fosse ancora capace di far crollare tutto una volta di più. Sopra un muretto distante dal traffico. Sul molo carezzato dal sale nell’aria e le conchiglie sotto i piedi. Seduto su una panchina verde scrostata. Di fronte a delle fiamme danzanti con una bottiglia tra le dita. Cosa stesse rincorrendo esattamente, non lo sapeva bene. Sapeva solo di aver bisogno di un salto tra le liste apparentemente liscissime della sua vita.

Gli si cominciarono a gonfiare gli occhi. E proprio in quel momento, venne in suo soccorso una vecchia amica. Piccole gocce pesanti cominciarono a battergli sulle guance. Diluendo la sua tristezza. Mentre a distanza ribelle foglie gialle cominciavano a rincorrersi nel vento. Guardò verso l’alto allora: “Non farti attendere, manchi solo tu, guerriero celeste”. Sorrise di nuovo. Mentre la bic cominciò a sanguinare, irrigando di nero l’erba ed il terreno.

Lascia un commento