Mulinello

Prendi queste pinze, avvicinati per favore. Non ce la faccio da solo. Non riesco a vedere bene da qui. Io chiudo gli occhi, tu fai piano. Levalo da lì ti prego…ma come puoi dire che non c’è niente? È là, lo sento. Mi rosica da dentro. Mi sta facendo marcire il cuore e solo tu puoi levarlo. Non lasciare radici nel muscolo, non voglio ricresca. Si è innestato in profondità e mi spreme di giorno in giorno un pochino di più il sangue, lo avvelena lasciando le sue propaggini pescare in quel rosso torrente.

Mi sono talmente concentrato ad essere buon giardiniere nel cuore altrui che ho scordato di levare le erbacce dalla mia piccola aiuola. Ho lasciato che quei gerani si piegassero sotto il loro peso. Garofani e margherite non rifulgono più ad allietare i bordi, mentre il mughetto che tanto mi piaceva da piccino..beh..le sue campanelle non appaiono più tanto delicate e pronte al trillo, rivestite di quella patina marroncina. Ed a sovrastare questo disastrato e maleodorante humus rimane soltanto il tronco contorto del glicine. L’avevo fatto crescere con cura, dirigendone il fusto agile attorno alle sottili assi della deliziosa staccionata che circondava da dietro quel mio piccolo angolo di gioia. Poi ho incominciato a rinforzare quella staccionata, a farla più possente e pesante. Mi accorgo ora di come avessi solo posto ostacoli alla viola eleganza, senza per altro impedire agli animaletti più impertinenti di violentare quell’urna sacra. Inizialmente il tronco aveva provato ad adattarsi all’ostilità di quella recinzione. Ma, dopo poco, si era deciso a tirar dritto ghermendo e fagocitando il legno che lo stava ingabbiando. Anche la più delicata ed aggraziata delle creature a volte è costretta ad essere risolutamente greve nelle movenze. Il più docile degli esseri dopo troppe mani ruvide ad accarezzargli il viso, irridendolo, sa come mordere quelle dita grasse che si avvicinano. Così ora, quella che una volta era una mirabile tenda sgargiante ed odorosa, è divenuta una scheletrica maglia, i cui angoli vivi pungono gli occhi di chi la guarda.

Non posso credere di aver lasciato marcire cotanta bellezza solo per far risplendere un paio di piantine nel cuore degli altri. Non vi rendete conto di quanto amore un giardiniere sappia dare ed appena questi volta le spalle al lavoro terminato, lasciate che qualche impudente ragazzino vada a giocare a “m’ama, non m’ama” con quei petali. Dissennati! Un giardiniere dell’Anima ricorda il numero di petali che ogni fiore possiede. Ripassa tutte le notti ad occhi chiusi la disposizione delle piante in quelle aiuole che ha visitato e sulle quali ha profuso la sua arte dà Amore. E nulla per lui è più triste di tornare a far visita a quelle Aiuole e trovare un sempreverde al posto dei delicati anemoni. È facile piantare una rozza accozzaglia di aghi gettati alla rinfusa, che in ogni momento sono pronti ad ostentare la loro forza. Il giardiniere là aveva invece piantato la sua selezione preferita di anemoni, fragili e bisognosi di cure, da innaffiare con regolarità, per poter godere di tutte le ventotto sfumature che conducono dal vermiglio al viola. Li aveva disposti in quell’ordine che aveva studiato per due giorni buoni, per lasciare che l’occhio godesse poi del delicato rincorrersi dei violetti. Una fatica ripagante, ma solo per chi conosce il sapore di un colore. E si è fermato almeno una volta ad ascoltare che rumore fa un petalo accarezzato dal vento. O, magari, a raccogliere delle foglie gialle da terra per farne un mazzetto profumato. Un giardiniere crede ancora nelle favole e sa che il Divino è fiero di lui.

Io ho bisogno di un giardiniere personale, con il quale cominciare a rivoltare le zolle, disegnare la composizione, scegliere i bulbi più paffuti. Innestarli nel profondo della terra intrisa di vita, ché rinvigorita dalle foglie morte delle piante precedenti. Lasciare che le lacrime versate assieme innaffino abbondantemente il terreno, per poi rimanere ammaliati e soddisfatti del tripudio costruito. E, non da ultimo, lasciare che le sue mani guidino le mie ad eliminare le corazze su quella staccionata. Eliminare la pesantezza di quei pezzi di ferro e di quelle assi oblique. Il glicine rimarrà nervoso nel suo guidare lo sguardo alla cima, ma i suoi magnifici grappoli vaporosi riprenderanno vigore. Mentre un gelsomino gli si attorciglierà attorno, a camuffare ogni spigolo, cospargendolo del suo inebriante profumo.

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