Risacca #23

Un poster buffo di un uomo che alza un bilancere con una gamba alzata. I colori sono sbiaditi. Ho le mie cuffie ma sento il cameriere che a volce alta escalama “Espresso!”. Il ventilatore appeso al soffitto gira lentamente, ma un po’ inutilmente visto che fuori ancora nevica. E’ aprile, ed ancora le grandi finestre di vetro riescono ad appannarsi per la differenza di temperatura tra l’interno ed il resto del mondo là fuori. Dietro al bancone le cameriere hanno il volto rilassato, sorridono. Chissà se davvero sono felici. Una coppia di ragazzi guarda concentrata il menù appeso appena sopra la cassa. Lui ha già scelto, ma lei no. Lui sta aspettando con pazienza proponendogli un sandwich dopo l’altro decantandone la bontà, quasi lavorasse lui stesso in questo bar un po’ hipster. Le persone che mi circondano hanno tutte il loro bel Mac aperto e picchiettano sulla tastiera, mentre ogni tanto alzano lo sguardo, scambiano una battuta col vicino di sedia. Sorridono, danno un morso ad un biscotto al burro d’arachidi e mandano giù una boccata di questo orribile caffè. Un continuo vociare si accalca nella mia testa e, stranamente, per questa volta non ne sono infastidito. Ammiro le labbra che si muovono attorno a me e lascio che mi coccoli questa mistura di inglese, francese e spagnolo. Rubo per qualche istante le espressioni riflesse su uno specchio di due ragazze intende a studiare, mentre una leggere nebbiolina invade la stanza, una nebbia appetitosa, nata dai grilled cheese che sfrigolano sulle piastre. Tutti paiono rilassati. Poi vedo due cuffie, nere. Sotto a queste un orecchino: un argento ovale decorato da piume metalliche che appena si muovono a dar guizzi di luce nelle mie pupille. Sono incantato. Le sopracciglia un po’ arricciate, come di chi si sta concentrando per scegliere le giuste parole. La fronte incorniciata da tutte le sfumature che vanno dal ruggine all’oro, passando per il rame e l’ottone. Non sento più alcun rumore attorno a me. Tutto si è calmato ed i miei sensi si sono acuiti per percepire solamente il lieve scampanellio che scaturisce da quel lobo forato. Il suo petto si gonfia e sgonfia lentamente, ritmicamente, coperto da un maglione sale e pepe. Come quello che anche io sto indossando. Abbiamo qualcosa in comune. È incredibilmente tenera quando flette la testa a sinistra per rileggere quello che ha appena scritto, mentre le dita sottili si staccano dalla tastiera e si cingono attorno alla tazza rossa fuoco. Come le mie guance ora. Appoggia piano le labbra sul bordo ed un leggero brivido mi percorre la schiena. Lascia che la cioccolata calda le vada a riscaldare lo stomaco in questo primo grigio e freddo giorno d’Aprile. Sento il suo profumo, ora, mentre si tira le maniche a coprire le mani. Un gesto di bambino, un gesto che ho sempre amato. Continua a rileggere e si mordicchia l’interno della bocca. Ora sposta i capelli su di un lato, scoprendo solo un lembo della pelle del suo collo. È del colore del cuscino che vorrei la sera quando mi stendo a letto. Non sto respirando ormai da qualche minuto mentre osservo la danza che le sue mani, le labbra, la testa e gli occhi stanno eseguendo assieme. Non c’è più nessuno nel bar, solo lei ed i miei occhi. Una stella da ammirare soltanto, respirando l’aria di formaggio mista a caffè. Un contrasto strano, ma saporito, che mi riempie il cuore stanco.

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