Risacca #40

Ho interrogato l’oracolo della vita in questi giorni. Non ho fatto una domanda precisa, ma ho lasciato che le mie nocche, qui escoriate dagli strali del vento purificatore, si appoggiassero più o meno lievi sulla piccola porticina di quel bar celestiale in cui egli siede a sorseggiare assorto del caffè filtrato fumante. Egli così ha deciso di rispondermi, senza nemmeno lasciarmi possibilità di ribattere o chiedere chiarimenti:

 

“Avvoltoi: a volte, a volto avvolto voltano.
Menadi: menan le mani.
Rifuggi i rifugi e naufraga per fragore ad anfratto intatto,
metonimia menomata dell’Ameno:
ahimè, ne rinoman per meno le menole ammorbate.
Ruggi ai raggi, distruggi i seggi, omaggia i saggi.
Comprendi? Con te prendi, curali e arrendili.
L’idolo è il dolo della lode, ed allude al laido ludibrio.
Di brio rabbrividisci! Derviscio, sciama con gli asceti!”

 

Tu cosa ne pensi? Io, onestamente, non ci ho capito molto di tutta questa cantilena. E nemmeno mi capacito del fatto che mi sia rimasta impressa tanto da aver potuto riportare fedelmente questi versi. Eppure rimane sulla superficie dei miei pensieri come un tronco cavo sullo specchio salmastro. Dopo essere stato ipnotizzato dal chiudersi ed aprirsi delle labbra al sapor di caffè, sono uscito da quel bar intontito, rintronato. Mi sono accorto di non aver percorso senziente quei pochi passi che dividevano il tavolo dalla porta cigolante del bar. Ero in dormiveglia, in un torpore simile a quello di chi si appisola sul divano dopo una scorpacciata pantagruelica. Gli occhi mi si sono riaperti quando la porta dietro di me aveva sbattuto. La nebbia eterea si era dipanata poco a poco, allentando la morsa su ciò che mi circondava: un risveglio lento e fantastico. Ogni oggetto prendeva possesso di uno spazio che andava oltre i suoi propri confini geometrici. Non sapevo cosa mi avesse detto esattamente l’oracolo, ma riuscivo ad assaggiare quelle nuvole che ammantavano gli oggetti. Ed io giocavo ad avvicinare le mie mani ad essi: le mie dita erano pennelli intrisi di tutti i colori e mi divertivo a vedere le mie tonalità mescolarsi con quelle del mondo. Stavo creando nuovi colori, saporiti e profumati. Non solo: ogni pennellata era cromaticamente differente. Mi accorgevo che oggetti simili avevano colori anche completamente differenti. Ho poi capito il perché quando sono rimasto incantato ad ammirare la luminosissima aureola sul volto e sulle dita di una ragazza. Aveva soltanto accarezzato il tronco di un albero ed ora l’albero sembrava sanguinare splendore da quella strisciolina dorata che pian piano si espandeva. Sì, avevo capito: il colore è il risultato di tutti i pittori di anime che li hanno sfiorati e, probabilmente in modo inconscio, hanno lasciato qualche goccia del loro ultimo colore a fare l’amore con la tavolozza di un corrimano, di un sedile del cinema, di una tazza di un bar, di una panchina di fronte al Tamigi.

Io ora vedo quei colori e me ne pasco in ogni momento. E che tu abbia interrogato od abbia già interrogato il tuo oracolo, ricordati che sei pittore di anime, artista delle auree.

 

tavolozza

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