Risacca #33

Anche le dita hanno smesso di muoversi. Si sono irrigidite, sono in sciopero. Non vale la pena più per loro muoversi con fatica sui tasti senza poter marcare sulla candida tela quelle lettere, che formano parole, che formano frasi senza che tu le voglia leggere. Non rispondono ai miei comandi ed inciampano impacciate sulla tastiera, fredda. Dita stupide, dita che hanno capito tutto in realtà. Si volgono ad indicarmi severe, accusatorie. Ognuna ha un rimprovero da farmi e tutte gridano alla vendetta in tuo nome. Tutte urlano e si straziano per non poter più scivolare sulle tue guance. Per non poter cingere i tuoi fianchi. Dita che si inchinano verso il palmo, tutte assieme, a formare un solo, poderoso, mazzuolo che percuote il mio petto. Provo a scostare la mia anima dalla traiettoria del colpo, ma la mente la afferra per i piedi e glieli inchioda sulle rotaie su cui questo vagone di vergogna procede spedito. È triste riuscire ad accorgersi dei fardelli che appesantiscono le membra e cercare di liberarsene mentre si tiene in equilibrio un prezioso vaso. Ti levi il guanto che hai a lungo indossato per non sporcare il candore di quella ceramica, piena di profumi, piena di colore e decorata qualche crepa. Ti levi il guanto solo per avere la presa più salda sui legacci che cingono i tuoi polpacci e ti impediscono di condurre al luogo appropriato quel capolavoro tanto delicato quanto meraviglioso. Ti levi il guanto per raggiungere quei piccoli lacciuoli che quasi ti abradono la pelle spessa e, nel momento in cui stai per riuscire a divincolartene, ecco… non ti accorgi di non aver sciolto a dovere uno di quei minuscoli e serratissimi mille nodi. Alzi un piede. Misuri il passo come se fossi libero di impacci. Mentre sei ancora piegato un po’ verso il suolo lastricato di ardesia. Non avresti dovuto farlo.

Quello che segue è il momento più interminabile della tua esistenza. Quell’istante che precede il tonfo a terra. Chiudi gli occhi per un’infinita frazione di secondo. E lasci che tutto il dolore della rottura venga assorbito solo dalle orecchie. Il rumore della ceramica che si schianta. I lembi taglienti di quei cocci sembrano entrare direttamente dai timpani, per raggiungere il cuore. Vi ci si conficcano per perpetuare il dolore dell’istante. Sei caduto in ginocchio e le tue gambe sono indolenzite, tumefatte e pulsanti. Il calore del sangue che si fa strada tra le crepe della pelle ti intride i pantaloni, facendoli aderire alla pelle esposta dall’urto. Tutto è in silenzio ora. Anche il vento ha smesso di soffiare, impaurito come te dal dover cominciare la conta dei pezzi in cui quell’amplissimo contenitore si è frantumato. Intanto, l’aroma del mirto che quel vaso ha contenuto per anni si sprigiona sino a occludere gli alveoli. Hai ancora gli occhi serrati e così li mantieni per un minuto buono. Respirando lentamente ma affannosamente. Le lacrime cominciano a segnarti il viso, fredde e cariche di sale. Quel sale che brucia ed inaridisce. Quando arrivano ad estuario sugli angoli della tua bocca, ormai dipinta in una stasi ieratica, solo allora ti decidi a scollare le palpebre fra loro, pregando che la conta sia breve. In quel momento qualche goccia comincia a lavare il sale dal tuo volto. Tu lo rivolgi al cielo, lasciando che la rabbia ti fuoriesca dai polmoni in suoni scomposti. La pioggia è calda e investe le tue iridi. Sai cosa ti aspetta. Ammucchi i pezzi di bianco al ritmo dell’umido ticchettio. Li raccogli disponendoli delicatamente nel tuo zaino. Le tue dita si tagliano nel racimolare alcuni di essi, ma a te non importa. Il sangue viene presto lavato dall’alta acqua che si confonde con le copiose gocce che spremi dai tuoi tondi. E mentre i ricordi della tenerezza ed attenzione con cui ti sei preso cura di quel vaso ti pervadono colpevolmente, mediti su quale adesivo usare per ricomporre l’opera d’arte. Ammiri quelle tesserine che una voltano formavano un uno. Un unico inestimabile chiarore. Ed ora sta a te ridonargli splendore. E speri solamente che tutti i pezzi possano tornare al loro preciso posto, contando sulla tua pazienza ed infinita voglia di ammirare nuovamente quel vaso candido tra le tue mani.

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