Avevo un paio di stivali:
avevo sette anni e correvo sereno,
rincorrevo le pozzanghere
per vedere i riflessi dell’olio su di esse.
Amavo i miei stivali:
erano nel sottoscala, tra il cesto per i funghi
ed il rastrello per le foglie secche.
Erano in gomma, gialli e rossi.
Rimpiango i miei stivali:
mio padre ne puliva le suole col cacciavite
dal fango indurito, dopo che li avevo indossati
con i pantaloni infilati tra i gambali ed i polpacci.
Mi mancano i miei stivali:
ho imparato a conoscere la natura con loro ai piedi,
mi manca il loro odore artificiale e le loro macchie.
Però sono sono ormai diventato troppo grande.
Ho conservati i miei stivali:
in alcuni giorni sogno di poter indossarli ancora
e ripercorrere i sentieri di allora, curioso,
sentendo da distante la voce di mia madre che mi chiama.
Amo ancora i miei stivali:
adesso come non mai sarebbero il rifugio perfetto,
per un cuore cresciuto ed un po’ stanco
per un animo avvizzito, per un corpo appesantito.